Prima di parlare della docuserie originale di Netflix “First Team: Juventus” che ha come chiara protagonista la squadra più vincente della Serie A, occorre iniziare questo pezzo estrapolando la juventinità che è in ognuno di noi. Perché? Semplice: qui non troverete ricordi del tipo ‘Italia 90’, non c’è Totò Schillaci o il grande sogno di Roberto Baggio. C’è la Juve nella sua totalità. Nel suo presente.
Occorreva dirlo perché il passaggio di Netflix sulla Juventus non è un richiamo al passato, ma uno spot per il futuro. La docuserie, resa disponibile il 16 febbraio, ha rilasciato i primi tre episodi: fortunatamente, li abbiamo visti poco prima e ne possiamo parlare. E la prima cosa da dire è che ormai su Netflix davvero puoi trovare di tutto, specialmente se si tratta di produzioni originali: da Bright con Will Smith fino a Mindhunter, passando per Gonzalo Higuain. La certezza è che la qualità sia sempre alta: lo è anche questo documentario, non il primo che si focalizza sullo sport, ma il primo a concentrarsi su una squadra di classe mondiale com’è la Juventus.
Il trailer non lo rende molto chiaro, First Team: Juventus non è una docuserie che si concentra sui 120 anni di storia della Juve, ma tutto inizia nell’estate passata appena dopo la clamorosa sconfitta nella seconda finale di Champions League degli ultimi tre anni, a Cardiff, contro il Real Madrid. Così inizia questa serie con un sapore amaro di sconfitta e incertezza, perché essendo onesti così anche iniziò la stagione per i tifosi juventini.
Il ritmo del primo episodio è un po’ lento, non si capisce se è la voce del narratore, o l’ambiente pessimista che mostra. O magari qualcuno s’aspettava qualcosa in più. Però bisogna dire che serve star tranquilli: poi alla fine migliora, come tutto il resto. Gli episodi girano attorno ai 40 minuti, dall’estate all’inverno che sta per terminare, con un inizio molle per la Juve che ancora segue il Napoli in classifica. E che si prepara alla sfida con il Tottenham di Champions.
La parte più bella? Non solo una questione dei tifosi: è il volto che mostrano i giocatori fuori dall’ambiente lavorativo. E’ una situazione molto umana: Pjanic cammina per il centro di Torino con suo figlio, Rugani e la sua fidanzata lo stesso. Quindi le auto di Higuain e di Buffon, oltre al servizio a casa di Federico Bernardeschi. Vedere grandi come Torricelli, Bettega, Del Piero e l’attuale vicepresidente della squadra, Pavel Nedved, dà inoltre un tocco dolce alla storia. Che subito fa contrasto con le parole e il pragmatismo di Max Allegri: tattica, battute e intelligenza sopraffina. Non cade mai. Neanche quando scherza coi suoi: “Giocate, giocate, facciamo il Napoli”.
E’ un grande esperimento, questo sì: applausi a Netflix per aver aperto la porta dei documentari a una delle più grandi squadre del mondo. In conclusione, è probabile che per i tifosi bianconeri, First Team: Juventus, appaia un po’ “spaventoso” perché non è un documentario storico, ma racconta solo pochi mesi. Non c’è da restare delusi, ma solo apprezzare il tentativo. Raccontare un mondo così complesso come quello bianconero, fatto di volti e di storia, non è stato affatto semplice: in questo senso, scegliere Claudio Marchisio come testimonial centrale è stata la scelta corretta. Dal passato al futuro: però in campo.